“Palermo e l’acqua perduta”, Valerio Agnesi, Plumelia edizioni

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Nuovi aspetti accadono proprio nel caso di questo bel volume, nelle edizioni Plumelia, nel quale l’Autore, attraverso una adeguata sintesi storica e urbanistica segue un filo rosso che si chiama acqua e rocce, idrografia e geologia e rilegge, appunto, aspetti legati alla tradizione toponomastica spiegandone l’inscindibile rapporto con la lettura della stratificazione geologica che restituisce la struttura del territorio sul quale si snodano in superficie le antiche mura urbane, le vie e le piazze e dove poggiano i monumenti che la caratterizzano a loro volta con le stratificazioni architettoniche che vi si possono leggere sul piano storico artistico e ambientale.

[dalla premessa di Piero Longo]

 

Fiumi, acque, torrenti, canali sotterranei, fonti non son altro che il grande sistema vascolare della città; una sorta di angioarchitettura modellata dalla terra per un complesso e delicato organismo in cui Valerio Agnesi naviga mosso dal vento geologico senza obliare l’eco del mito. Ma si mostrano anche in trasparenza le austere parole del sociologo Max Weber che – traiamo dalla sua conferenza del 1918 sull’insegnamento e sulla “Scienza come vocazione” (Wissenschaft als Beruf) – definiscono “l’insegnamento scientifico faccenda di aristocrazia dello spirito”, una disinteressata ricerca del sapere, un rivolgersi, suggerisce il saggista George Steiner, alla forma più pura della Grazia.

[dalla chiosa di Aldo Gerbino]

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